La crisi che da diversi mesi opprime i mercati finanziari non è del tutto anomala, ma per importanti aspetti ha precedenti che risalgono almeno al Seicento e che da allora si presentano ricorrentemente.
Le cronologie economiche sono costellate da resoconti di spettacolari movimenti generalizzati di speculazione, con caratteristiche simili tra loro e tutte con il medesimo esito: lo scoppio delle `bolle' con il conseguente crollo dei prezzi e la riduzione in miseria di buona parte di coloro che sono stati coinvolti da queste manie.
Questi episodi sono ricorrenti con frequenze relativamente ravvicinate: tra il 1720 e il 1989 ne sono stati registrati 32, dunque mediamente uno ogni 8 anni o poco più. L'ultimo episodio di sgonfiamento è iniziato sui mercati borsistici americano nel marzo 2000: nell'anno e mezzo precedente l'indice NASDAQ (una media delle valutazioni dei titoli tecnologici) era praticamente triplicato, per perdere praticamente tutto nell'anno successivo; gli ultimi strascichi sono cronaca di questi giorni. Questi eventi sono a volte legati a crisi generalizzate anche al settore produttivo, e sono dunque un corollario del ciclo economico di cui costituiscono a volte un fattore scatenante e altre volte un elemento di propagazione e amplificazione degli effetti, mentre più raramente si verificano indipendentemente dal corso del ciclo economico.
Una delle prime manie speculative di cui si hanno notizie ha riguardato i bulbi di tulipani in Olanda attorno al 1635. Questo caso è spesso citato, anche se in parte a sproposito, come esempio tipico dell'instabilità e irrazionalità dei mercati.
I tulipani sono giunti in Europa dalla Turchia verso la metà del Cinquecento, e ben presto l'Olanda è diventata il centro di coltivazione e di creazione di nuove varietà. Quelle più rare --in particolare alcune affette da virus che ne influenzavano l'aspetto, e che potevano essere riprodotte solo molto lentamente per scissione del bulbo-- raggiunsero prezzi molto alti: nel 1625 un Semper Augustus veniva pagato 2000 guinee, l'equivalente di oltre 1.1 Kg di oro. Finché il commercio era relegato agli specialisti, i prezzi di queste varietà seguivano un corso ben preciso ancora caratteristico del mercato moderno dei fiori: le nuove varietà realizzavano prezzi molto alti per qualche anno, finché la graduale abbondanza ne faceva diminuire la valutazione. Nel 1634, tuttavia, gli alti prezzi finirono per attirare l'attenzione anche di chi non era specialista nel settore. Gente di ogni classe sociale liquidava i propri beni per acquistare bulbi di tulipano, e i prezzi crebbero a dismisura. I professionisti continuavano ad occuparsi di bulbi pregiati, chi non se lo poteva permettere acquistava varietà più comuni. Tutti i prezzi salirono per tre anni (il Semper Augustus raggiunse le 5500 guinee, più di 3 Kg d'oro), ma nel febbraio 1637 il movimento cessò all'improvviso, e i prezzi crollarono (il Semper Augustus scese a 0.1 guinee).
Sono state altamente spettacolari anche la `bolla del Mississipi' e la `bolla dei Mari del Sud', la prime serie crisi sui mercati borsistici parigino e londinese, rispettivamente. La prima ha avuto origine dalle manovre dell'economista mercantilista scozzese John Law, fondatore della Compagnia delle Indie e della Banque Générale. Law ha fondato la Mississipi Company per convertire il debito statale contratto per bonificare e sfruttare le terre attorno al Mississipi (l'attuale Louisiana) recentemente passate dalla Spagna alla Francia. Una serie di manipolazioni sul mercato borsistico ha portato a raddoppiare il prezzo delle azioni tra giugno e luglio 1719, attraendo speculatori da tutta Europa. I nuovi aumenti che ne sono conseguiti hanno indotto Law ad emettere nuove azioni (tre serie in luglio), che ha venduto a condizioni agevolate per permettere la partecipazione a larghe fasce della popolazione. I prezzi continuavano a salire, e per stabilizzarli Law ha emesso in novembre nuove quote. I primi operatori a quel punto hanno cominciato a lasciare Parigi per Londra; nel febbraio 1920, Law ha cessato le operazioni di cambio e contrattazione in Francia con lo scopo di frenare la speculazione, con il risultato di far crollare il valore dei titoli. Dopo un ulteriore tentativo di stabilizzazione, la compagnia fallì e John Law fu costretto a a fuggire dalla Francia.
Nel frattempo a Londra il Parlamento aveva approvato un piano simile da parte della South Sea Company per finanziare una parte del debito nazionale. Tra febbraio e luglio 1720 il valore delle azioni della compagnia è aumentato del 750%, trascinando con sé molti altri titoli e attirando altri speculatori dalla Francia. Alla fine di agosto iniziò la discesa che portò in poco tempo i corsi a meno di un terzo del valore massimo, per scendere ulteriormente a un quinto del massimo per la fine dell'anno.
Saltiamo un paio di secoli, nei quali episodi simili si sono ripetuti più volte, per arrivare ad una delle bolle più rilevanti della storia, quella che ha dato il via alla grande crisi del 1929-32. Alla fine degli anni venti l'economia americana stava crescendo molto rapidamente, dando dunque buone ragioni per essere ottimisti: profitti e dividendi crescevano ad un buon ritmo, e il valore della azioni aumentava ancora maggiormente, tanto che conveniva prendere denaro a prestito per acquistare titoli. Tali movimenti, naturalmente, contribuivano ad incrementare ulteriormente la rivalutazione dei titoli. All'inizio del 1928 la Federal Reserve Bank intervenne con una politica monetaria restrittiva per frenare questo movimento, senza tuttavia riuscire a dissuadere gli investitori.
La crescita attirò sul mercato borsistico anche molti dilettanti, che naturalmente non avevano idea di cosa stesse succedendo. Neppure i professionisti potevano saperlo molto bene, poiché negli ultimi anni erano mutati molto rapidamente sia i metodi di intermediazione finanziaria che la base tecnologica delle imprese. Tuttavia verso la metà del 1929 molti cominciavano a rendersi conto che i prezzi erano decisamente eccessivi. Nel settembre 1929 la politica restrittiva della Fed ha cominciato a far registrare i suoi effetti; non, però, frenando la speculazione, ma rallentando la produzione. Inoltre gli alti tassi di interesse praticati negli Stati Uniti attiravano capitali dall'estero, costringendo le banche centrali europee ad alzare i propri tassi. Il rallentamento economico si è così generalizzato, inducendo un calo nella valutazione dei titoli borsistici. Ciò ha dato inizio alle vendite, con il conseguente ulteriore deprezzamento azionario che ha rapidamente scatenato crisi di panico generalizzato, portando a crolli vistosissimi il 24 e 29 ottobre.
Il crack borsistico più grave cui si sia (finora) assistito risale al 1987. Il 19 ottobre il Dow Jones ha perso il 22.6%, dopo quattro giorni di perdite pesanti, per un totale del 31% equivalenti a mille miliardi di dollari. Tuttavia, le conseguenze macroeconomiche non sono state gravi quanto nel 1929. Il crollo del 1987 solleva importanti interrogativi, in quanto nessuno dei modelli di determinazione dei prezzi borsistici è capace di darne una spiegazione. È certo che prima del crollo i prezzi erano eccessivi, ma non è chiaro come mai si fossero innalzati tanto. Certo è che le spiegazioni che attribuivano l'amplificarsi delle perdite alle transazioni elettroniche si sono rivelate errate quando, due anni dopo, nel corso del crack del 1989 (di minori proporzioni) le transazioni elettroniche sono state sospese ma i prezzi hanno ugualmente continuato a cadere.
Qualunque sia la causa ultima di questi eventi, è chiaro che una loro importante componente è costituita da fenomeni di speculazione generalizzata che ad un certo punto degenera. `Speculazione' non è un termine di per sé spregiativo (lo diventa, nel linguaggio comune, proprio in quanto associato a fenomeni di questo genere). L'operatore di borsa specula nel senso etimologico del termine: `guarda' avanti, cercando di indovinare il prezzo futuro. Se si aspetta che il prezzo salga, compera oggi per guadagnare sulla differenza; se si aspetta che il prezzo scenda, vende subito per evitare perdite.
Il problema fondamentale risiede dunque nella formazione delle aspettative. Esse dipendono, o dovrebbero dipendere, dalle conoscenze che gli operatori hanno del mercato, di una certa industria o di una certa impresa; e nel lungo periodo, questa è un'ottima guida per gli investimenti. Tuttavia vi sono momenti in cui tutti gli operatori sembrano credere che i prezzi sono destinati a salire (o a scendere) per la semplice ragione che stanno salendo (o scendendo). In questi momenti vi sono ondate di ottimismo che, a lungo termine, sono completamente irragionevoli, anche perché coinvolgono piccoli risparmiatori che non hanno conoscenze specifiche dei meccanismi in gioco ma tentano ugualmente la fortuna. Ma a breve termine sono perfettamente razionali: se io penso che tutti siano convinti che i prezzi salgano, compro; poiché tutti ragionano allo stesso modo, tutti comprano e i prezzi salgono effettivamente. La cosa, naturalmente, non può durare in eterno, perché in questo modo i prezzi si staccano dai valori reali dei titoli. Prima o poi comincia a sorgere qualche dubbio, qualcuno vende (e solitamente i professionisti sono i primi a capire che il movimento sta per invertirsi), e i prezzi iniziano a scendere, creando il panico fra tutti gli operatori.
Che qualche meccanismo di questo genere sia quasi sempre all'opera durante le crisi finanziarie è cosa che gli economisti hanno capito ben presto. Fin dall'insorgere delle prime crisi vi erano state sporadiche osservazioni in proposito, poi integrate da John Mill in una delle prime teorie del ciclo economico (1857), che attribuiva il periodico ritorno delle crisi all'alternanza di ottimismo e pessimismo e sulle sue conseguenze sul mercato del credito. Da allora la diagnosi è stata ripetuta molteplici volte, ed è stata affinata nella forma di teorie del ciclo basate sull'instabilità finanziaria.
È interessante come in ciascuna delle descrizioni del fenomeno date nell'ultimo secolo e mezzo non si faccia fatica a riconoscere alcuni degli elementi fondamentali della crisi odierna. Due sono le implicazioni su cui riflettere. Una riguarda l'intrinseca instabilità dei mercati finanziari, che rimane immutata nonostante il progressivo raffinarsi dei meccanismi borsistici. L'altra riguarda la nostra scarsa memoria storica: fra qualche anno, quando la presente bufera sarà passata, saremo tutti pronti a buttarci a pesce sulle possibilità di capital gain (guadagno in conto capitale) offerte dalla ripresa speculativa --e se non lo faremo noi personalmente, ci penseranno le nostre casse pensione.
Riferimenti specifici alle crisi finanziarie menzionate (e ad altre simili) si trovano in D. Glasner, Business cycles and depressions. An encyclopedia, New York: Garland, 1997. Per una trattazione sistematica si veda C. P. Kindleberger, Storia delle crisi finanziarie, Bari: Laterza, 1991 (ultima edizione: Manias, panics and crashes. A history of financial crises, New York: Basic Books, 1996).
Questo articolo è apparso in Azione (settimanale di Lugano) il 7 agosto 2002. © Daniele Besomi .