Teorie del ciclo economico


1 L'economia tra alti e bassi

L'economia americana è ufficialmente entrata in una recessione, quella giapponese è depressa da mesi e quelle europee stanno rallentando la già debole crescita. Questi fenomeni non sono nuovi per gli economisti, che da un secolo e mezzo riconoscono l'esistenza di cicli economici e cercano di spiegarne le cause e di trovare dei rimedi. Ma come spesso accade, non vi è accordo tra loro: numerose teorie e interpretazioni sono state proposte, a volte con differenze di fondamentale importanza e inconciliabili. In questa serie di contributi prenderemo in esame i diversi approcci degli economisti, sviluppati dagli albori della disciplina fino ai giorni nostri, cercando di individuare le radici più profonde del dissenso teorico e indicandone le conseguenze pratiche.

Quando, il 26 novembre 2001 , il National Bureau of Economic Research ( NBER ) ha ufficialmente annunciato che a marzo 2001 l'economia degli Stati Uniti era entrata in una fase recessiva, nessuno si è stupito più di tanto, in quanto i segni del rallentamento erano ben visibili da diversi mesi ed erano stati ingigantiti dalle conseguenze degli eventi dell'11 settembre. Se anziché di un annuncio si fosse trattato di una previsione diffusa nel febbraio 2000, molti americani sarebbero rimasti increduli: allora l'economia navigava a gonfie vele, e la prospettiva anche solo di un rallentamento sembrava molto lontana.

Questa sembra essere una delle caratteristiche delle recessioni economiche: ogni interruzione di una fase di prosperità pare cogliere di sorpresa tanto gli operatori economici quanto i commentatori e i semplici cittadini; analogamente, delle fasi di depressione spesso non si riesce a scorgere il termine, così che anche le aspettative si deprimono. Eppure l'alternarsi ciclico di fasi di ripresa, prosperità, recessione e depressione è un fenomeno che si ripete (anche se con diverse modalità) fin dalla metà del settecento. La sua regolarità è stata riconosciuta a metà ottocento ed è stata studiata a partire dall'ultimo quarto di quel secolo, con la produzione di innumerevoli trattati il cui flusso (la cui intensità segue le alternanze congiunturali) continua a tutt'oggi.

Un tale stato di cose suggerisce l'opportunità di prendere in esame nel suo sviluppo storico la letteratura sul ciclo economico, a partire dall'enfasi degli economisti classici sul momento delle crisi per concludere con una rassegna degli sviluppi più recenti. Questa operazione ha non solo un senso storico, ma anche una notevole rilevanza per l'interpretazione della situazione attuale e per la comprensione dell'interazione tra le fasi congiunturali e l'intervento economico degli stati -tema, quest'ultimo, costantemente caldo nell'agenda dei dibattiti politici.

1.1. Le crisi decennali

Prima di addentrarci nell'analisi delle teorie del ciclo conviene dare una descrizione sommaria delle peculiarità delle fluttuazioni economiche.

La parola `ciclo' indica di per sé il carattere di regolarità del fenomeno, 1 che ha impressionato gli osservatori fino dalla metà dell'ottocento. Le prime crisi che hanno colpito il sistema economico capitalistico avevano attratto l'attenzione degli economisti soprattutto per la loro violenza, ed erano state discusse in quanto interruzioni momentanee del processo di accumulazione del capitale. Già Marx aveva rilevato, nel 1848, come le crisi tendessero a ripetersi periodicamente, con una frequenza all'incirca decennale ( Marx e Englels [1848] 1973 , p. 33). Una dozzina di anni più tardi, Clément Juglar diede alle stampe il primo trattato esplicitamente dedicato al ciclo economico, nel quale sottolineò il carattere ricorrente del fenomeno ( Juglar [1962] 1889 ). Altri studi si cumularono, e ben presto il ciclo di durata compresa tra sette e undici anni (poi battezzato da Schumpeter ciclo maggiore o ciclo di Juglar: Schumpeter 1939 , p. 169) divenne oggetto di analisi da parte dei maggiori economisti. Queste ricerche raggiunsero un apice negli anni tra le due guerre, indubbiamente a causa della profonda impressione lasciata dalla crisi del 1929-32 e l'urgente necessità di comprenderne le cause e i meccanismi al fine di porre rimedio alle sue drammatiche conseguenze.

Tra le peculiarità del ciclo, ben presto si notò che le fluttuazioni coinvolgono diverse grandezze economiche: il reddito nazionale e il livello di produzione, i prezzi, i tassi di interesse (quelli a breve termine, in particolare), e soprattutto l'occupazione. Queste grandezze salgono e scendono assieme nel corso delle fluttuazioni, anche se alcune di esse oscillano in modo più marcato (il grado di occupazione, in particolare) e alcune tendono a precedere le altre nel loro movimento (suggerendo così la possibilità di prevedere il fenomeno tenendo sotto osservazione certe variabili: sono nati in questo modo i cosiddetti `barometri congiunturali' 2 ). Spesso i momenti di passaggio tra prosperità e recessione avvengono in modo violento, accompagnati da rovinose crisi finanziarie, 3 mentre al contrario la ripresa inizia in modo più dolce. 4 Va tuttavia osservato che ogni ciclo differisce dagli altri, in quanto i sistemi economici non sono macchine perfette ma sono soggetti ad ogni tipo di perturbazioni, sia esterne che generate dal movimento dello stesso sistema economico, che rendono molto arduo il problema della previsione e anche della verifica statistica.

1.2. I cicli di cicli

Negli anni venti del novecento si osservò come, oltre alle crisi decennali, l'economia fosse soggetta a `onde lunghe', della durata di approssimativamente mezzo secolo, legate al modo in cui nascono, si diffondono e maturano le tecnologie in uso. I primi tre cicli furono riconosciuti da Nikolai Kondratieff, da cui (sempre grazie a Schumpeter) presero il nome. Si identificarono anche cicli più brevi, detti di Kitchin (dal nome dell'economista che per primo li studiò), della durata media di circa 40 mesi, e cicli approssimativamente ventennali (detti di Kuznets, il quale ne discusse solo parecchi anni più tardi), e ben presto si speculò che i cicli di Juglar, Kondratieff e Kitchin fossero in qualche modo sovrapposti ( Schumpeter 1935 ). 5

Dopo la seconda guerra mondiale le economie occidentali entrarono in una fase di prosperità prolungata: le recessioni furono molto brevi e meno violente almeno fino al 1974, senza dubbio a causa tanto delle particolari condizioni iniziali (mezza Europa era rasa al suolo e da ricostruire, a partire da conoscenze tecnologiche già avanzate e da un notevole potenziale di domanda da parte dei consumatori) quanto dell'intervento dello stato nell'economia in funzione anticiclica. 6 , 7 Ciò ha determinato un corrispondente spostamento dell'interesse degli economisti dai cicli alla crescita. Le `onde lunghe' hanno così conosciuto un ritorno di interesse, mentre si è iniziato a chiedersi se il ciclo non fosse obsoleto o addirittura a pronunciarne la morte. 8

Alcuni autori hanno però continuato ad occuparsi dei cicli maggiori. Le nuove tecniche matematiche hanno permesso di trattare congiuntamente cicli e crescita, così che da un lato ha potuto nascere il nuovo concetto di `cicli di crescita' -nei quali le recessioni non necessariamente prendono la forma di una diminuzione dell'attività, ma possono presentarsi come un rallentamento della crescita-, e dall'altro è divenuto possibile trattare l'interazione tra due fenomeni che le tecniche analitiche precedenti obbligavano a tenere distinti (o al massimo permettevano di sovrapporre), formalizzando così alcune delle intuizioni formulate nel passato ma mai sviluppate appieno per la mancanza di strumenti adeguati.

Il ritorno di fluttuazioni un po' più marcate negli anni settanta (seppure con intensità minore rispetto ai primi anni del novecento) ha determinato anche per l'ortodossia economica (nei decenni precedenti in posizione difensiva su questo tema) un ritorno di interesse per le teorie del ciclo, che però è discusso più come un fenomeno con cause esterne all'operare del sistema economico che non come un aspetto fondamentale del funzionamento delle economie capitalistiche.

1.3. Le statistiche

I nuovi dati statistici hanno fornito materiale per un'interpretazione che sminuisse il ruolo dei cicli di Juglar. I rilevamenti del NBER, infatti, colgono ogni minima variazione, così che ogni flessione è indicata come recessione (si veda la tabella Il Ciclo negli USA riportata qui sotto). Questa procedura aumenta naturalmente il numero di cicli in un dato periodo, diminuendone pertanto la durata (che in media è ridotta a circa 53 mesi, 48 se si esclusono gli anni di guerra: vedi tabelle Durata media del ciclo negli USA: tutti i cicli e Durata media del ciclo negli USA (guerre escluse) ) e influenzando anche i rilevamenti dell'ampiezza delle fluttuazioni. É stato notato come questa pratica (che risulta dalla decisione di definire la recessione come una `significativa e generalizzata diminuzione nell'attività che duri più di qualche mese e che sia riconoscibile nella produzione industriale, occupazione, reddito reale, e smercio all'ingrosso e al dettaglio') a volte generi confusione, dal momento che non permette di riconoscere i cicli maggiori da semplici svolte temporanee. 9 Un confronto con i dati per la Gran Bretagna raccolti da Aldcroft e Fearon , che hanno rilevato 10 cicli tra il 1856 e il 1937 per una durata media di 8.1 anni, 10 rivela che il NBER ha identificato nel medesimo periodo 7 cicli in più (la cui durata media è dunque di 4.7 anni: vedi tabella Durata e ampiezza dei cicli nel PNL, UK 1836-1937 ).

Marx, Juglar e gli altri teorici che si sono occupati di ciclo fino alla seconda guerra mondiale, non disponevano certamente della messe di dati mensili calcolati dal NBER. La loro visione era più intuitiva, basata su un periodo più lungo (le statistiche di Juglar, ad esempio, erano su base annua), e coglieva le variazioni più macroscopiche ignorando (o interpretando come cicli di Kitchin) le fluttuazioni di minore entità. Non per questo, però, la loro interpretazione era meno accurata: l'attività economica non procede mai in modo lineare né lungo una semplice curva sinusoidale, ma mostra un andamento ben più complesso, che visto al `microscopio' si rivelerebbe caratterizzato da andamenti altalenanti. Riducendo la scala temporale e modificando la definizione di `recessione', è possibile aumentare quasi a piacere il numero di `massimi' e `minimi' osservati. La grandezza degli autori appena citati è consistita nel saper cogliere un movimento complessivo dell'economia, individuarne certe regolarità, ed interpretarlo come un problema (teorico, prima ancora che pratico). È di questo che ci occuperemo nei prossimi capitoli.

Questo articolo è apparso in Azione (settimanale di Lugano) il 20 febbraio 2002. © Daniele Besomi

1.4. Dati statistici

tabella 1.1: Il Ciclo negli USA 11

Date di riferimento

Durata in mesi

minimo

massimo

contrazione

espansione

ciclo

da minimo a minimo

da massimo a massimo

1834

1836

12

24

60

60

1838

1839

24

12

48

36

1843

1845

48

24

60

72

1846

1847

12

12

36

29

1848

1853

12

60

24

72

1854.12

1857.06

24

30

84

86

1858.12

1860.10

18

22

48

40

1861.06

1865.04

8

46

30

54

1867.12

1869.06

32

18

78

50

1870.12

1873.10

18

34

36

52

1879.03

1882.03

65

36

99

101

1885.05

1887.03

38

22

74

60

1888.04

1890.07

13

27

35

40

1891.05

1893.01

10

20

37

30

1894.06

1895.12

17

18

37

35

1897.06

1899.06

18

24

36

42

1900.12

1902.09

18

21

42

39

1904.08

1907.05

23

33

44

56

1908.06

1910.01

13

19

46

32

1912.01

1913.01

24

12

43

36

1914.12

1918.08

23

44

35

67

1919.03

1920.01

7

10

51

17

1921.07

1923.05

18

22

28

40

1924.07

1926.10

14

27

36

41

1927.11

1929.08

13

21

40

34

1933.03

1937.05

43

50

64

93

1938.06

1945.02

13

80

63

93

1945.10

1948.11

8

37

88

45

1949.10

1953.07

11

45

48

56

1954.05

1957.08

10

39

55

49

1958.04

1960.04

8

24

47

32

1961.02

1969.12

10

106

34

116

1970.11

1973.11

11

36

117

47

1975.03

1980.01

16

58

52

74

1980.07

1981.07

6

12

64

18

1982.11

1990.07

16

92

28

108

1991.03

2001.03

8

120

100

128

tabella 1.2: Durata media del ciclo negli USA: tutti i cicli 12

contrazione

espansione

ciclo

da minimo a minimo

da massimo a massimo

1854-1991 (31 cicli)

18

35

53

53

1854-1919 (16 cicli)

22

27

48

49

1919-1945 (6 cicli)

18

35

53

53

1945-1991 (9 cicli)

11

50

61

61

tabella 1.3: Durata media del ciclo negli USA (guerre escluse) 13

contrazione

espansione

ciclo

da minimo a minimo

da massimo a massimo

1854-1991 (26 cicli)

19

29

48

48

1854-1919 (14 cicli)

22

24

46

47

1919-1945 (5 cicli)

20

26

46

45

1945-1991 (7 cicli)

11

43

53

53

tabella 1.4: Durata e ampiezza dei cicli nel PNL, UK 1836-1937 14

Da massimo a massimo

anno del minimo

Durata in anni

contrazione

espansione

totale

ampiezza

1836-39

1837

1

2

3

2.67§

1839-46

1843

4

3

7

4.52

1846-56

1850

4

6

10

2.14

1856-59

1858

2

1

3

1.98

1859-65

1862

3

3

6

1.36

1865-74

1869

4

5

9

1.49

1874-83

1879

5

4

9

1.81

1883-90

1886

3

4

7

1.28

1890-1901

1894

4

7

11

1.88

1901-07

1904

3

3

6

1.55

1907-13

1909

2

4

6

-

Durata media

3.2

3.8

7.0

Ampiezza media

2.07

1920-29

1921

1

8

9

5.02

1929-37

1932

3

5

8

2.90

Durata media (1920-37)

2

6.5

8.5

Ampiezza media (1920-37)

3.96


1. Il termine `fluttuazioni', al contrario, non implica questo elemento di regolarità ( Medio 1985 , p. 11). Nella terminologia anglosassone si usano i termini `business cycle' (prevalentemente negli Stati Uniti) e `trade cycle' (prevalentemente in Gran Bretagna).

2. Oltre al NBER, le cui statistiche sono elaborate a partire dal lavoro di Wesley Mitchell, occorre citare il `business barometer' della Review of Economic Statistics dell'Harvard Economic Society, l'Istituto per lo studio della congiuntura di Mosca, fondato da Kondratieff , l'analogo istituto olandese diretto da J. Tinbergen, quello austriaco e quello tedesco diretto da Löwe. Per una discussione dei metodi di ricerca si veda Morgan 1990 , pp. 64-68.

3. Per una storia delle crisi finanziarie si veda Kindleberger 1996 ; gli aspetti teorici saranno esaminati in uno dei capitoli seguenti.

4. L'aspetto violento delle crisi era stato naturalmente notato dagli economisti classici. Con lo spostamento d'enfasi verso il ciclo, la crisi è ridotta al momento del passaggio (né più né meno significativo di altri) dalla prosperità alla recessione, in un quadro di riferimento in cui la ritmicità e l'alternarsi delle fasi è più importante di ciascun momento specifico ( De Vecchi 1983 , pp. 264-65). La riscoperta del fenomeno è abbastanza recente; nel nuovo quadro teorico, tuttavia, si parla piuttosto di asimmetria dei cicli, la cui scoperta è attribuita a Burns e Mitchell ( Ramsey e Rothman 1996 , p. 1) o tutt'al più a Keynes ( Neftçi 1984 , p. 307; Sichel 1993 , p. 224; McQueen e Thorley 1993 , p. 342).

5. Secondo Burns e Mitchell 1946 (pp. 440-42), nessun raggruppamento a tre a tre (come postulato da Schumpeter) dei cicli identificati dal NBER corrisponde alle date dei cicli di Juglar individuati da Schumpeter; questa conclusione è ripresa da Zarnowitz 1992 , p. 240.

6. L'azione governativa in funzione anticiclica, impensabile fino ai primi anni trenta, è il risultato tanto dell'esperimento del New Deal di Roosevelt quanto del rigetto del punto di vista del Tesoro (che postulava che la spesa pubblica non avrebbe portato alcun beneficio in quanto gli investimenti pubblici non avrebbero fatto che spiazzare gli investimenti privati): il primo ha provato la possibilità pratica di realizzare tali progetti, il secondo (ad opera di Keynes ed altri) ha eliminato l'impossibilità teorica.

7. Sulle caratteristiche dei cicli del dopoguerra si veda ad esempio Zarnowitz e Moore 1986 e Zarnowitz 1992 , capitolo 8.

8. Si vedano ad esempio Bronfenbrenner 1969 , Allsopp 1971 , Guitton 1972 , James 1979 , Baldassarri e Annunziato 1994 (in particolare il contributo di Cipolletta ), e Goldstein 1996-7 .

9. Aldcroft e Fearon 1972, p. 10n; si veda anche Matthews 1969 , p. 102n.

10. Questa valutazione coincide, per numero di cicli, con quella di Matthews 1969 , p. 102, seppure vi siano leggere discrepanze sulle date; Rostow 1948 ha identificato un picco in più (p. 33).

11. Dati del NBER integrati con dati del Centre for International Business Research (in Glasner 1997 , pp. 732-33)

12. Dati del NBER (www.nber.org/cycles.html)

13. Dati del NBER .

14. Tratta da Aldcroft e Fearon 1972 , p. 9.


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