Teorie del ciclo economico


5 Marx: la crisi come risoluzione delle contraddizioni del capitalismo

Come le crisi seguite alle guerre napoleoniche hanno dato luogo a uno dei dibattiti teoricamente più interessanti nella storia dell'economia, la profonda crisi del 1857 ha indotto Marx ad accelerare i suoi studi economici "prima del diluvio". Egli è così giunto all'interpretazione delle crisi come temporanee risoluzioni delle contraddizioni del capitalismo legate da un lato all'indipendenza delle decisioni di compera e di vendita e dei processi di produzione e di circolazione, e dall'altro alla loro reciproca interrelazione.

Le riflessioni economiche di Marx (di diritto il capofila degli eretici in epoca classica) sono intrinsecamente legate alle crisi: quella del 1857, in particolare, con le speranze rivoluzionarie ad essa associate, l'ha indotto a raccogliere le sue riflessioni preliminari sull'economia politica sviluppate dapprima nei Grundrisse e poi, dopo diversi anni di lavoro storico e teorico, nel Capitale. 1

5.1. La possibilità di crisi

La teoria delle crisi di Marx parte dall'analisi della possibilità di crisi, in opposizione esplicita alla teoria economica di Ricardo . Secondo Marx, la legge di Say (v. capitolo Il primo dibattito sulle crisi ) nega che vi possano essere sovrapproduzioni generali in quanto ne esclude la possibilità dalle sue premesse. Affermando che "nessuno produce se non in vista di consumare o di vendere, e nessuno vende se non ha intenzione di comperare qualche altra merce, che può essergli immediatamente utile o può contribuire alla produzione futura", Ricardo fa implicitamente riferimento ad un'economia di baratto, non alla produzione capitalistica ( Ricardo 1817 , capitolo 21). Nella prima si produce per il consumo, ed in tal caso non ha effettivamente senso interrompere lo scambio merce-denaro-merce (M - D - M), nella quale il denaro non è che l'intermediario. Ma nelle economie capitalistiche la produzione è motivata dal profitto: si parte da una somma di denaro, si producono delle merci con lo scopo di venderle per ottenere più denaro (D - M - D'). Qui sono già insite due possibilità di crisi: in primo luogo, gli atti di compera e vendita sono separati in due atti distinti e indipendenti: il capitalista può vendere il suo prodotto senza che abbia l'immediata necessità di comperare materie prime ecc. per continuare la propria produzione (lo farà solamente se è conveniente per lui). Questi atti sono indipendenti, ma per il funzionamento del sistema nel suo complesso è necessario che avvengano entrambi: infatti l'acquisto da parte di un capitalista è necessario perché un altro capitalista possa vendere il suo prodotto. Se il processo di compra e vendita si interrompe, allora può nascere una crisi: "La natura generale della metamorfosi delle merci -che include tanto la separazione di compra e vendita quanto la loro unità , anziché escludere la possibilità di una saturazione generale ( general glut ) - è piuttosto la possibilità di una saturazione generale (general glut)". 2

La seconda possibilità di crisi è insita nella natura del denaro, che non è solamente un intermediario degli scambi ma è anche riserva di valore e mezzo di pagamento. In primo luogo, è data la facoltà di tesoreggiare, vale a dire trattenere il denaro ottenuto dalla vendita, ad esempio per costituire una scorta di valuta. 3 Secondariamente, il sistema creditizio presuppone che i pagamenti e rimborsi dei debiti avvengano senza interruzione; ma se il processo di compra e vendita si interrompe, i crediti non possono essere rimborsati, e ciascun capitalista fa conto sul rimborso dei debiti altrui per poter rimborsare i propri. 4

Ma Marx va oltre. Una terza possibilità di crisi è insita nella separazione tra il processo di produzione e il processo di circolazione. Il capitalista non si accontenta di produrre le sue merci, né gli basta venderle. Egli vuole venderle con un profitto che lo soddisfi: questo è il senso dell'intera operazione. Vi devono dunque essere le condizioni tali, nel sistema economico nel suo complesso, perché questo si verifichi: qualcuno deve aver bisogno delle merci specifiche prodotte dal nostro capitalista, e il prezzo realizzato deve essere sufficientemente alto. Viceversa, egli non ricomincerà il processo produttivo, che dunque non si riproduce. 5

Infine, è nella natura del capitale produrre sempre più merci con tecnologie sempre nuove e più efficienti: la riproduzione avviene su scala allargata. Ciò presuppone che anche il mercato per queste merci si allarghi corrispondentemente. Ma l'ampliamento della produzione e l'ampliamento del mercato, benché necessari l'uno per l'altro, sono indipendenti, e nel loro non coincidere si cela un'ulteriore possibilità di crisi. 6

Queste possibilità di crisi sono naturalmente astratte, 7 ma sono una premessa necessaria per una teoria concreta delle crisi e, allo stesso tempo, costituiscono la base dell'interpretazione dell'approccio degli economisti classici alla crisi: l'economia politica marxiana è allo stesso tempo critica dell'economia politica. Quanto a Ricardo e ai sostenitori della legge di Say, Marx li accusa di non aver percepito la possibilità che l'unità tra i vari momenti si possa rompere, mentre a Sismondi e Malthus , avversari della legge degli sbocchi, Marx rimprovera di non aver saputo vedere che talvolta questi processi ritrovano la loro unità. La crisi è appunto il momento in cui le contraddizioni date dall'indipendenza e dall'unità di compra e vendita, di circolazione e produzione, di sviluppo delle forze produttive e di capacità di acquisto della società, si risolvono violentemente per poi riproporsi di nuovo, in un processo che si ripete su scala allargata.

5.2. La necessità delle crisi

Il passo successivo consiste nello stabilire come la possibilità di crisi dia luogo alle crisi attuali. Queste diventano necessarie non appena lo sviluppo delle forze produttive si traduce nella impossibilità per i capitalisti di realizzare un profitto che li soddisfi. Aumentando la produttività del lavoro, il progresso tecnologico tende a ridurre la parte di giornata lavorativa che il lavoratore deve impiegare per riprodurre il valore del proprio lavoro (tempo di lavoro necessario, nella terminologia marxiana). Se il valore rimanente del lavoro fosse interamente appropriato dal capitalista, questi trarrebbe l'intero vantaggio dell'introduzione delle nuove macchine e ne potrebbe ammortizzare i costi. Ma se la classe operaia riuscisse a lottare efficacemente contro l'aumento dello sfruttamento e ottenere aumenti salariali, allora i capitalisti vedrebbero ridotto il proprio saggio di profitto (questo sembra essere effettivamente il caso: Marx nota infatti che "le crisi vengono sempre preparate da un periodo in cui il salario in generale cresce e la classe operaia realiter riceve una quota maggiore della parte del prodotto annuo destinata al consumo"). L'ottenimento di un profitto è però il motore della produzione capitalistica: qualora esso venisse a mancare non vi sarebbe ragione di continuare a produrre --indipendentemente dall'esistenza di bisogni delle merci: "L'estensione o la riduzione della produzione non viene decisa in base al rapporto fra la produzione e i bisogni sociali, i bisogni di un'umanità socialmente sviluppata, ma in base all'appropriazione del lavoro non pagato e al rapporto tra questo lavoro non pagato e il lavoro oggettivato in generale o, per usare un'espressione capitalistica, in base al profitto e il capitale impiegato, vale a dire in base al livello del saggio di profitto. Si arresta, non quando i bisogni sono soddisfatti, ma quando la produzione e la realizzazione del profitto impongono questo arresto" ( Marx 1867-94 , vol. 3, p. 312). 8

L'interruzione della produzione, anche in un numero limitato di settori, libera tutte le potenzialità di crisi. Il mancato acquisto di mezzi di produzione da parte di qualche capitalista significa per qualcun altro l'impossibilità di vendere, quindi l'impossibilità per quest'ultimo di realizzare i propri profitti e pagare i propri debiti. In questo modo le difficoltà si ripercuotono su tutto il sistema e si allargano. Anche le proporzioni tra settori produttivi, che erano temporaneamente e faticosamente ricercate nella fase di sviluppo, vengono a cadere. Si determina così una sovrapproduzione generalizzata di merci (che i lavoratori, pur avendone bisogno, non possono acquistare), blocco del credito (i capitali, sovrabbondanti ma detenuti in forma liquida, non circolano nel sistema economico), e disoccupazione.

Inizia così un processo di distruzione del capitale: cessando la produzione, il capitale fissato in macchinari diventa obsoleto, mentre il capitale in forma liquida è lasciato inoperativo a causa dell'interruzione del ciclo del credito -il che equivale a distruggerne la ragione d'essere. Ciò contribuisce ad eliminare la causa dell'insorgere della crisi, che consisteva appunto nell'eccesso di accumulazione. La situazione migliora ulteriormente quando i capitalisti che hanno subito meno perdite durante la crisi introducono nuovi metodi di lavoro e sostituiscono i vecchi macchinari con strumenti di lavoro più produttivi, rendendo la produzione di nuovo profittevole dapprima per sé stessi e in seguito anche per gli altri.

La contraddizione tra sviluppo delle forze produttive e capacità di acquisto della società è così temporaneamente superata, e la produzione può riprendere ad un ritmo crescente. Marx mostra come l'unità di compra e vendita, sia quantitativamente che qualitativamente, possa per un certo tempo avvenire, rappresentando questa possibile modalità di riproduzione del sistema economico con degli schemi aritmetici (mutuati da quelli proposti quasi un secolo addietro nei tableaux économiques dei fisiocrati francesi ) in cui i settori produttivi scambiano i propri prodotti con reciproca soddisfazione. 9 Ma un tale svolgimento è puramente casuale: non solo non vi sono meccanismi che ne assicurino la perpetuazione, ma la possibilità di crisi data dall'indipendenza tra le singole decisioni di compra e vendita è perennemente in agguato, e si scatena non appena la profittabilità del processo produttivo è di nuovo messa in causa.

Questo articolo è apparso in Azione (settimanale di Lugano) l'8 maggio 2002. © Daniele Besomi


1. Vygodskij 1965 , capitolo 3.

2. Marx [1862-63] , vol. 2, p. 546; vedi anche Marx 1859 , pp. 68-78.

3. Marx 1867-94 , vol. 1, pp. 162-66; vol. 2, pp. 512-16.

4. "Si può dunque dire: la crisi nella sua prima forma è la stessa metamorfosi della merce, la separazione di compra e vendita. La crisi nella sua seconda forma è la funzione del denaro come mezzo di pagamento, dove il denaro figura in due momenti diversi, separati nel tempo, in due diverse funzioni. queste due forme sono ancora del tutto astratte, benché la seconda sia più concreta della prima" ( Marx [1862-63] , vol. 2, pp. 552-54; vedi anche Marx 1867-94 , vol. 1, pp. 167-74.

5. Marx [1862-63] , vol. 2, pp. 554-55.

6. Marx [1862-63] , vol. 2, pp. 563-64.

7. L'esposizione segue quella dello stesso Marx nelle Teorie sul plusvalore, in ordine di astrazione decrescente. Marx intendeva rinviare la trattazione dettagliata alle corrispondenti parti del Capitale, salendo "dall'astratto al concreto". Per una discussione di questo approccio metodologico di Marx si veda Rosdolsky 1973 , pp. 48-51.

8. Per una discussione più dettagliata si veda De Vecchi 1983 , pp. 234-52.

9. Marx 1867-94 , vol. 2, capitolo 21.


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