Con l'opera di Mitchell la teoria delle crisi esce definitivamente di scena, lasciando il posto a una teoria del ciclo caratterizzata dalla simmetria tra fasi di ascesa e di depressione.
Nel 1913, Wesley Mitchell ha pubblicato una monografia dal titolo Business Cycles che ha segnato la definitiva maturazione delle teorie del ciclo economico anche nei paesi di lingua inglese. Il libro di Mitchell, che fa largamente affidamento sull'indagine statistica, non è che la prima fase della sua indagine: ha costituito il primo riferimento concettuale degli studi sul ciclo del National Bureau of Economic Research (fondato nel 1920 da M. Rorty, N. I. Stone, E. Gay e Mitchell, e diretto --per la ricerca-- da quest'ultimo), nel cui ambito Mitchell con i suoi collaboratori ha più volte rielaborato l'apparato statistico del primo volume.
Tuttavia, l'interpretazione teorica di Business Cycles non è più stato rivista. La seconda monografia di Mitchell sui cicli, pubblicata nel 1927 con il titolo Business cycles. The problem and its setting, avrebbe dovuto essere seguita da un secondo volume teorico (The rhythm of business activity) che tuttavia non è mai stato completato, 1 in quanto l'autore sembra essere affondato nel continuo approfondimento della parte statistica e metodologica ( Burns e Mitchell 1946 2 ) e nella ricerca di sempre nuovi dati che gli permettessero di completare un mosaico che tuttavia continuava a sfuggirgli. 3 Nel 1930 Mitchell ha riassunto l'esposizione del 1913 in una voce per l'Encyclopædia of the social sciences, e nel 1941 Mitchell ha dunque ripubblicato la parte teorica del libro del 1913, omettendo il resto del volume, ritenendo che continuasse ad "avere valore come rendiconto realistico di quanto accade nel corso di un ciclo economico" ( Mitchell 1941 , 4 p. vi).
La teoria del ciclo 5 di Mitchell è costruita a partire da quattro componenti: la caratterizzazione dell'organizzazione economica nella quale il fenomeno di verifica, le teorie precedenti del ciclo economico, l'analisi statistica dei vari tipi di fluttuazioni, e le impressioni registrate nei giornali finanziari e negli annali commerciali. 6 Ciascuno di questi elementi contribuisce a mettere in luce un diverso aspetto del fenomeno.
La riflessione sull'assetto economico riflette le preoccupazioni della scuola istituzionalista americana nella quale Mitchell si è formato, 7 prima fra tutte la consapevolezza che i fenomeni economici sono intrinsecamente legati all'assetto istituzionale nel quale avvengono: il ciclo, dunque, è un fenomeno tipico dei sistemi economici capitalisti, 8 mentre in precedenza si potevano verificare delle crisi ma di natura ben diversa. 9 Dal suo maestro Veblen , Mitchell ha acquisito l'impostazione istituzionalista, che propone di esaminare i fenomeni economici nel loro contesto istituzionale. Da qui prende corpo l'idea che guida l'intera costruzione teorica di Mitchell: poiché la ricerca del profitto è il perno attorno a cui ruota l'attività economica, qui deve trovarsi l'origine del suo andamento ciclico. 10 , 11
Le molteplici teorie del ciclo, la cui analisi e classificazione occupano il primo capitolo sia di Business Cycles che della rielaborazione del 1927, hanno ispirato vari particolari della descrizione del fenomeno data da Mitchell, 12 la quale dunque mostra un certo eclettismo. 13 Ma il loro contributo è importante anche per la contraddittorietà e l'incompatibilità delle varie soluzioni proposte: 14 anziché farsi scoraggiare dalla plausibilità di ogni teoria presa isolatamente e dall'assenza di verifiche, 15 Mitchell ne trae la conferma della complessità del fenomeno del ciclo. 16 Poiché il mondo degli affari dipende da una miriade di fattori di diversa natura (fisici, politici, sociali, economici), alcuni locali altri nazionali o mondiali, talvolta persistenti e talatra temporanei, e poiché l'attività economica dipende dal coordinarsi di una moltitudine di processi soggetti ad influenze mutevoli (estrazione, produzione, trasporto, spesa, risparmio e investimento, e così via), sono nate teorie del ciclo che focalizzavano su un aspetto specifico e l'hanno elevato a spiegazione generale del fenomeno. Le differenze tra le teorie riflettono dunque la complessità del fenomeno che analizzano, e ciascuna di esse contribuisce alla soluzione di una parte del problema. Mitchell ritiene tuttavia che non basti giustapporre le teorie preesistenti: queste non fanno che indicare ipotesi parziali, mentre la stessa complessità del ciclo impone di "study any feature of modern life which appears to be intimately related to business fluctuations". 17
Gli annali commerciali e i giornali finanziari tendono a fornire descrizioni eccessivamente minuziose dello stato degli affari. Tuttavia, se si astrae dai dettagli l'immagine d'assieme che essi forniscono delinea chiaramente un andamento oscillatorio globale, comune a tutti paesi in cui prevale un'organizzazione economica di tipo capitalistico, seppure certe aree e certi settori produttivi siano più colpiti di altri, e la cui intensità e durata variano di volta in volta. 18
L'analisi statistica (con riferimento in particolare a Francia, Gran Bretagna, Germania e Stati Uniti) permette di confermare e aggiungere precisione a quanto si può inferire dagli annali commerciali e dalle teorie del ciclo, e di dare una dimensione quantitativa al fenomeno. Essa mette inoltre in rilievo la presenza di più tipi di movimento, che si sovrappongono ai cicli economici veri e propri: tendenze di lungo periodo, oscillazioni secondarie, variazioni stagionali e fluttuazioni irregolari. 19
Alla luce di queste osservazioni è subito chiaro che i fenomeni che caratterizzano il ciclo non potranno essere isolati ed identificati una volta per tutte in modo univoco. Ma se ogni ciclo è il risultato di precise contingenze storiche, a loro modo irripetibili, vi sono tuttavia delle caratteristiche comuni, delle uniformità che la teoria ha il compito di individuare, con l'obiettivo di organizzare i dati che emergono dalle osservazioni in un quadro concettuale ordinato. Il compito del teorico è pertanto di descrivere le sequenze che si presentano regolarmente nelle varie fasi del ciclo, e di individuare le connessioni causali tra una fase e la successiva che spieghino come esse si succedano in modo regolare. 20 A partire dalle fonti elencate in precedenza, Mitchell sviluppa dunque una teoria del ciclo che qualifica come "analisi descrittiva del processo di cambiamento cumulativo" (che tiene conto dell'assommarsi delle idiosincrasie che caratterizzano lo sviluppo di ogni ciclo e costituiscono le premesse di quelli successivi) "che spinge la ripresa a diventare un'intensa prosperità, la prosperità a generare una crisi, la crisi a trasformarsi in depressione, e la depressione, dopo essersi acutizzata per qualche tempo, a condurre a una ripresa dell'attività". 21
Come anticipato ricordando l'impostazione istituzionalista di Mitchell, la sua teoria dei cicli si basa sull'andamento dei profitti come "la grande forza motrice dell'economia monetaria", esaminati a partire dall'andamento dei costi da un lato e dei prezzi dall'altro. 22 I fenomeni rilevanti sono esaminati a partire da quanto accade durante la ripresa. 23 Dalla precedente depressione si ereditano (ne vedremo la ragione al termine del resoconto del processo ciclico) bassi costi di produzione, poche merci nei magazzini, bassi tassi di interesse, disponibilità delle banche ad offrire capitale a prestito, e un aumento della domanda di capitale azionario. Ciascuno di questi fattori influisce positivamente sui profitti o rimuove ostacoli alla ripresa della produzione o lascia intravvedere un aumento della domanda di merci. Una volta che la ripresa inizia, il movimento procede cumulativamente: la crescita dell'attività produttiva in un settore significa un aumento nella domanda di materie prime, macchinari (sia per l'espansione delle imprese esistenti che per l'installazione di nuove unità produttive) e servizi di distribuzione da parte delle imprese, e maggiore disponibilità di potere d'acquisto da parte degli occupati; 24 in questo modo non solo si diffonde l'accrescimento della produzione, ma si viene a creare un'"epidemia di ottimismo" 25 che pervade l'intera comunità degli affari.
La crescita dell'attività produttiva comporta un aumento sia della domanda che dell'offerta di merci, e almeno in un primo tempo, i prezzi non crescono. Ma non appena le imprese raggiungono la piena capacità produttiva e devono iniziare a far ricorso a ore di lavoro straordinario, ad assumere nuovi lavoratori via via meno efficienti di quelli già occupati (quando in depressione è stato necessario ridurre il personale sono stati licenziati dapprima i lavoratori meno produttivi, poi progressivamente riassorbiti nella fase prospera), a rimettere in azione macchinari obsoleti (i primi ad essere fermati durante la depressione) o ad acquistare nuove macchine, i costi crescono e le imprese possono compensarli solo accrescendo i prezzi. Quando ciò comincia ad accadere, il movimento si diffonde cumulativamente in modo analogo all'accrescimento della produzione.
Nel frattempo, tuttavia, crescono anche altri elementi di costo oltre a quelli già citati: in particolare, aumentano i saggi di interesse sul capitale a prestito, si accrescono i prezzi delle materie prime e aumentano i salari. In un primo tempo i costi crescono più lentamente della produzione, così che i profitti possono continuare a crescere. Ma ciò non può durare. Durante la ripresa riescono a nascere e prosperare anche attività poco produttive, basate su macchinari obsoleti, un management poco efficiente o una base finanziaria non solida. Queste imprese incidono non solo sui propri costi, ma anche su quelli dei loro colleghi meglio attrezzati, in quanto contribuiscono a mantenere alti i salari e i prezzi dei materiali. La fase di crescita rapida porta dunque con sé diversi elementi atti ad accrescere i costi, e allo stesso tempo la frenesia dell'attività induce a trascurare gli accorgimenti che permetterebbero di ridurre gli sprechi al minimo.
È importante soffermarsi sull'andamento della produzione di macchinari: essa cresce in modo molto rapido durante la ripresa, molto più marcatamente della produzione di beni di consumo. 26 Questa accentuata accelerazione richiede da parte degli imprenditori ingenti sforzi di finanzamento, tramite il reinvestimento di profitti e con l'emissione di titoli sul mercato finanziario. Ma man mano che l'attività economica generale si intensifica, diventa per diverse ragioni sempre più difficile trovare i capitali necessari, ad esempio perché aumenta il tasso d'interesse, perché gli imprenditori --i maggiori risparmiatori-- anziché acquistare titoli altrui preferiscono investire nella propria impresa, o perché l'accrescersi del livello dei prezzi riduce il potere d'acquisto dei redditi fissi da titoli.
La prosperità fa dunque nascere e alimenta una serie di difficoltà che intaccano le prospettive di profitto. 27 I costi crescono, e gli imprenditori non possono continuare a compensarli aumentando i prezzi a causa di restrizioni legali, abitudini consolidate, politica aziendale, o contratti a lungo termine; inoltre anche la capacità produttiva aumenta (in ritardo rispetto alle decisioni di investimento 28 ), in una fase in cui è difficile prevedere a quali prezzi si riuscirà a vendere il prodotto e in cui prevale un clima di ottimismo che induce a sottovalutare gli errori. Poiché le prospettive di profitto sono il motore dell'attività produttiva, ad un certo punto la crescita deve cessare. Questo a sua volta crea problemi, poiché la crescita di ogni industria dipende da quella delle altre, non solamente in termini di domanda reciproca ma anche di crediti reciproci: nell'ottimismo della fase prospera ogni imprenditore tende a concedere e a chiedere crediti e dilazioni di pagamento con eccessiva facilità, così che si forma una rete di indebitamento che resiste fintanto che c'è la presunzione che gli altri possano pagare. Ma il ridursi dei margini di profitto, sommato alle tensioni sul mercato finanziario e monetario, induce alcuni imprenditori ad esigere i propri crediti, obbligando i propri debitori a fare altrettanto. Inzia così la fase di liquidazione che caratterizza le crisi economiche, che talvolta si trasformano gradualmente in una depressione ma talaltra degenerano in forme di panico.
Una volta innescato il processo depressivo, esso si propaga e i suoi effetti si accumulano in modo analogo ma opposto a quanto accade nella fase di prosperità. E, simmetricamente, la depressione genera le forze che alla fine ne determinano il rovesciamento. Ad esempio, il licenziamento di parte dei lavoratori causa una diminuzione della domanda di beni di consumo, e quindi delle vendite delle industrie che producono questi beni, le quali a loro volta devono licenziare altri lavoratori, e così via. I piani di ampliamento e ristrutturazione delle attività produttive sono rinviati, mettendo in difficoltà anche i produttori di mezzi di produzione. I prezzi iniziano a scendere.
Tuttavia le imprese licenzieranno i lavoratori meno efficienti, così che i loro costi iniziano a diminuire; la paura di essere licenziati, inoltre, induce i lavoratori rimasti ad impegnarsi maggiormente. In seguito alla diminuzione dei prezzi calano anche i costi per materie prime e macchinari, e la riduzione dei saggi di interesse incide positivamente sulle spese fisse e sulla facilità di prendere a prestito (le costruzioni di immobili tendono a crescere durante la depressione), tanto che le innovazioni tecnologiche sono spesso introdotte a questo stadio. Le scorte accumulate invendute durante la prosperità sono gradualmente eliminate, beni di consumo e macchinari con il tempo si logorano e vanno rinnovati, le imprese meno solide falliscono e i macchinari meno efficienti sono messi da parte.
Questi processi (e altri che Mitchell elenca lasciando gli sviluppi, per simmetria, al lettore) contribuiscono da un lato a ridurre i costi per le imprese e dall'altro a dare un primo incentivo alla domanda. Non appena i prezzi cessano di cadere precipitosamente si accrescono le prospettive di profitto, che stimolano la ripresa dell'attività produttiva riportando il ciclo al punto d'inizio.
Questo articolo è apparso in Azione (settimanale di Lugano) il 23 ottobre 2002. © Daniele Besomi .
1. Un frammento è stato pubblicato postumo da Burns come What happens during business cycles. A progress report ( Mitchell 1951 ).
2. La recensione di Koopmans a questo volume ha dato origine ad un dibattito significativamente intitolato "misura senza teoria": Koopmans 1947 e 1949 , Vinings 1949 e 1949a . Il dibattito è importante per la storia dell'econometria, poiché sono contrapposti i punti di vista del NBER e l'approccio econometrico della Cowles Commission: per una discussione si vedano ad esempio Morgan 1990 , pp. 55-56 e capitolo 8, Epstein 1999 , pp. 537-39, Mirowski 1989 .
3. Sono grato a Malcolm Rutherford per queste e altre indicazioni relative allo sviluppo degli scritti di Mitchell.
4. Poiché l'originale del 1913 è quasi introvabile, si farà riferimento dove possibile alla ristampa del 1941 , più volte riedita.
5. Sul significato di `teoria' conviene ricordare l'osservazione di Schumpeter (1950 , ristampa 1952 pp. 326-28) secondo cui da un lato Mitchell usa il termine nel senso di `ipotesi esplicativa', vale a dire di ipotesi che devono risultare (o essere suggerite) dallo studio dei fatti anziché essere postulate come premesse dell'indagine. Nel dibattito sulla `misura senza teoria' menzionato nella nota La recensione di Koopmans a questo volume ha dato origine ad un dibattito significativamente intitolato "misura senza teoria": Koopmans 1947 e 1949, Vinings 1949 e 1949a. Il dibattito è importante per la storia dell'econometria, poiché sono contrapposti i punti di vista del NBER e l'approccio econometrico della Cowles Commission: per una discussione si vedano ad esempio Morgan 1990, pp. 55-56 e capitolo 8, Epstein 1999, pp. 537-39, Mirowski 1989. , nel quale si è sottolineato come l'identificazione del fenomeno da misurare presupponga comunque una teoria in proposito, si intende la teoria come `strumento concettuale' o come `schema classificatorio'; Mitchell, tuttavia, non obiettava certo neppure ad un tale uso della teoria, come testimonia il ruolo della sua analisi delle istituzioni economiche (alla quale si accenna nella presente sezione).
6. Mitchell ha discusso della relazione tra questi elementi nella rielaborazione del 1927 più approfonditamente di quanto non avesse fatto nella versione originale (1913, ristampa 1941, p. 149); a dispetto della cronologia, si farà pertanto riferimento ad entrambe.
7. Sull'istituzionalismo di Mitchell in relazione alla sua teoria del ciclo si vedano Adair 1994 e P. A. Klein 1983 .
8. Lo studio dei cicli doveva costituire il passo preliminare per uno studio generale dell'economia `monetaria' (capitalistica), che tuttavia Mitchell non ha mai portanto a termine ( Burns 1949 , ristampa 1952, pp. 19-23).
9. Mitchell 1913, ristampa 1941, pp. 169-72. Per una discussione si veda Sherman 2001 , pp. 86-87.
10. Su Veblen si veda il capitolo Veblen: instabilità e stagnazione . Mitchell riassume le idee di Veblen sul ciclo più estesamente di quanto non faccia con altri autori, sottolineando sia il ruolo delle attese sui profitti che l'enfasi di Veblen sulla persistenza della depressione ( Mitchell 1913 , pp. 14-15, 1927 , p. 42, e 1930 , ristampa 1937, pp. 99-100). L'influenza di Veblen su Mitchell è riconosciuta da molti commentatori, ad esempio da Clark 1931 (ristampa 1952, p. 201), oltre che dagli autori citati nella nota Sull'istituzionalismo di Mitchell in relazione alla sua teoria del ciclo si vedano Adair 1994 e P. A. Klein 1983. .
11. Poiché il carattere dell'organizzazione e delle istituzioni economiche è continuamente mutevole e cumulativo nei suoi effetti, Mitchell ne conclude che "economists of each generation will probably see reason to recast the theory of business cycles they learned in their youth" ( Mitchell 1913, ristampa 1941, p. 168).
12. L'influenza delle teorie allora correnti è esplicitamente riconosciuta in Mitchell 1913, ristampa 1941, pp. 162-65.
13. "We can take all of the theories into our working conception of business cycles in the sense that we can conceive of the recurrent sequences of prosperity, recession, depression and revival as involving cyclical fluctuations in each of the economic processes listed, and as affected by emotional and climatic conditions" ( Mitchell 1927 , p. 461).
14. "Of course not all of these theories of business cycles can be valid in the sense of their authors. Indeed, if any one theory really shows the chief cause of cyclical fluctuations, none of the rival theories shows the chief cause" ( Mitchell 1927 , pp. 460-61). Tuttavia in seguito Mitchell si è espresso in modo più misurato: "The various explanations sketchily presented here, and the numerous other explanations which might be cited, are not to be thought as contradicting each other. Even from the viewpoint of the authors the difference consists mainly in emphasis. Each writer selects from the cyclical changes going on in modern society the process which seems to him of greatest importance and analyzes that in detail. But he may also make elaborate use of theories presented with an emphasis other than his own." (Mitchell 1930 , ristampa 1937, p. 100).
15. Nessuna delle teorie riassunte nel primo capitolo di Business cycles ( Beveridge 's competition theory, Hobson's theory of over-saving, May's theory of the discrepancy between wages and productivity, Aftalion 's theory of diminishing utilities, Bouniatian's theory of over-capitalization, Spiethoff 's theory of ill-balanced production of industrial equipment and complementary goods, Hull's theory of changing costs of construction, Lescure's theory of variations in prospective profits, Veblen's theory of the discrepancy between prospective profits and current capitalization, Sombart's theory of uneven expansion in the production of organic and inorganic goods, Carver's theory of the dissimilar price fluctuations of producers' and consumers' goods, Fisher's theory of the lagging adjustment of interest, Johannsen's theory of `impair savings') "seems to be demonstrably wrong, but neither does any one seem to be wholly adequate" ( Mitchell 1913, ristampa 1941, pp. 162-63).
16. "Taken one at a time, most of the theories of business cycles reviewed in Chapter I seem plausible, not to say convincing. Certainly each theory, this time without exception, , illuminates some angle of the problem. Taken all together, the theories render a different service --one which is welcome only to the man who has the courage and time to enter upon a thorough investigation. They show that business cycles are congeries of diverse fluctuations in numerous processes --physical, psychological, and economic. Indeed, upon reflection the theories figure less as rival explanations of a single phenomenon than as complementary explanations of closely related phenomena. The process with which they severally deal are all characteristic features of the whole. These processes not only run side by side, but also influence and (except for the weather) are influenced by each other. Thus the diversity of explanations, which at first seems confusing, becomes an aid toward envisaging the complex character of the problem" ( Mitchell 1927 , p. 180).
17. Mitchell 1927 , pp. 47-49 e 459-61. A partire da questa premessa si spiega facilmente come Mitchell non fosse mai soddisfatto del livello di dettaglio raggiunto dalla propria analisi statistica.
18. Mitchell 1927 , pp. 456-59: "the conception of business cycles obtained from a survey of contemporary reports starts with the fundamental fact of rhythmical fluctuations in activity, and adds that these fluctuations are peculiar to countries organized on a business basis, that they appear in all such countries, that they tend to develop the same phase at nearly the same time in different countries, that they follow each other without intermission, that they are affected by all sorts of non-business factors, that they represent predominant rather than universal changes in trend, and that, while they vary in intensity and duration, the variations are not so wide as to prevent our identifying different cases as belonging to a single class of phenomena." (pp. 458-59).
19. Mitchell 1927 , pp. 463-64.
20. Mitchell si sbarazza con leggerezza dell'approccio opposto, che vede la causa delle crisi e della ripresa in eventi eccezionali che bloccano o, rispettivamente, rilanciano l'attività produttiva, elencando diversi controesempi di riprese e crisi avvenute nonostante il verificarsi di eventi che avrebbero dovuto ostacolarle, per concludere che "the waning, like the waxing of prosperity [...] must be due, not to the influence of `disturbing causes' from outside, but to processes that run regularly within the world of business itself" ( Mitchell 1913 , ristampa 1941, pp. 26; v. anche pp. 2 e 71). Ciò gli è stato possibile in quanto poteva ormai considerare consolidata la sostituzione delle teorie delle crisi come catastrofi improvvise che turbavano il normale corso degli eventi con teorie del ciclo, che considerano come normale l'alternarsi di fasi di espansione e di contrazione ( Mitchell 1913 , p. 5. Si veda anche 1930 , ristampa 1937, p. 92).
21. Mitchell 1913 , rispampa 1941, p. 149; vedi anche p. ix. Più tardi al termine `teoria', Mitchell preferirà l'espressione "systematic account of cyclical fluctuations", sempre intesa come "analytic description of the processes by which a given phase of business activity presently turns into another phase" (Mitchell 1930 , ristampa 1937, p. 100).
Nell'edizione del 1927, Mitchell spiegherà che a domanda cui si deve rispondere non è `cosa causa i cicli economici?', ma `come si svolge il processo dei cicli economici?'. La nozione di `causa', infatti, non è priva di ambiguità, e testimonia di uno stato primitivo della ricerca: "The more complete the theory of any subject becomes in content, the more mathematical in form, the less it invokes causation.". La sola accezione di `causa' che si possa assogettare a verifica statistica "is the colorless statement that one event is followed by another". Ciò che le serie temporali mostrano sono relazioni funzionali, non nessi causali; corrispondentemente, la teoria dei cicli deve trasformarsi da tentativo di spiegazione causale in "analytic description of interrelated processes" ( Mitchell 1927 , pp. 54-55 e 470-71).
22. Per un riassunto più esteso si veda Sherman 2001 .
23. Mitchell commenta che "Since the processes of a nation's business life never cease or begin afresh, no natural starting point for the descriptive analysis to which we are committed exists. It is necessary to plunge in media res by breaking into the unceasing process at some arbitrarily chosen point" ( Mitchell 1913 , rispampa 1941, p. xii).
24. Il carattere cumulativo dell'espansione è determinato dunque dall'interrelazione tra le varie branche produttive e da un meccanismo circolare di spesa e generazione del reddito: "[W]hen well under way [...] the movement seems to generate momentum. Nor is there anything mysterious about this appearance. For in modern nations, where most people get their living by selling services or goods for money incomes and then spending money for goods, everyone helps to make the market for everyone else. The more one man gets the more he buys of consumers' or producers' goods, and so the more other people are able to buy of what he has to sell. Hence an increase of activity at any point in the whole organization tends to spread and, through a series of reactions, to intensify the activities with which it started" (Mitchell 1930 , ristampa 1937, p. 102). Va notato che il meccanismo descritto da Mitchell condurrebbe ad un'amplificazione senza limiti, poiché non vi è nessuna delle `perdite' (leakages) che riducono progressivamente il processo per condurre ad un moltipicatore finito ( Kahn 1931 ). Come vedremo, il processo incontra dei limiti nell'incremento dei costi e nella necessità di mantenere una certa sincronia nel processo di espansione tra i vari settori della produzione.
25. Questo aspetto è particolarmente enfatizzato nella recensione di Pigou , che anticipa dunque il tema portante della propria teoria del ciclo di cui si discuterà in un capitolo successivo ( Pigou 1914 , pp. 80-81).
26. Mitchell 1913 , edizione 1941, p. 40; più avanti (p. 165), l'autore fa riferimento al lavoro di Carver, che ha anticipato importanti elementi di quello che sarebbe più tardi diventato noto come `principio di accelerazione' ( Carver 1903 , p. 498; il passaggio rilevante è citato nella nota Aftalion 1913, vol. 2, p. 372. Una formulazione preliminare del principio di accelerazione si trova già in Carver, che --ragionando in termini di prezzi-- aveva notato che "the value of producers' goods tend to fluctuate more violently than the value of consumers' goods" (1903, p. 498), mentre altre esposizioni compiute, raggiunte in modo indipendente l'una dall'altra, sono dovute a Bickerdicke 1914 e J. M. Clark 1917. del capitolo Albert Aftalion: il ciclo come ricerca dell'equilibrio. ).
27. "The very condition that make business profitable gradually evolve conditions that threaten a reduction of profits" ( Mitchell 1913 , edizione 1941, p. 61).
28. Mitchell 1913 , edizione 1941, p. 57. Qui evidentemente Mitchell si è ispirato ad Aftalion, la cui teoria è citata nel capitolo iniziale di Business Cycles ( 1913 , pp. 8-9). Sull'importanza di questo ed altri `ritardi' nella teoria del ciclo di Mitchell si vedano ad esempio Zarnowitz 1968 , p. 375, e Adair 1994 , p. 118.