Teorie del ciclo economico


14 Un nuovo fenomeno: dalle crisi ai cicli

Alla vigilia della prima guerra mondiale il ciclo ha preso definitivamente il sopravvento sulle crisi nell'analisi degli economisti. Ma il passaggio non è stato automatico né privo di conseguenze. In questo primo capitolo esamineremo come, nella seconda metà dell'ottocento, si sia riconosciuto il ciclo come fenomeno degno di studio. Nel prossimo capitolo considereremo la rivoluzione teorica ad esso associata.

Nonostante i lavori pionieristici di Juglar (capitolo Clément Juglar: la crisi come patologia ), Jevons (capitolo Jevons: macchie solari e periodicità delle crisi )e qualche autore minore, fino a fine Ottocento le fluttuazioni economiche sono state considerate essenzialmente in termini di crisi. Solamente con le teoria di Tugan-Baranowsky e di Spiethoff (capitoli Tugan Baranowsky: sproporzioni e credito e Arthur Spiethoff: il ciclo, forma evolutiva del capitalismo ) l'approccio in termini di ciclo si emancipa dalle teorie delle crisi, che in pochi anni finirà poi per sostituire --tanto che nel 1905-6 la teoria del ciclo era oggetto di un corso specifico di insegnamento nella facoltà di economia di Harvard. 1 Solo a livello terminologico è rimasta qualche resistenza: nella letteratura americana il termine `business cycle' è diventato di uso comune dopo la pubblicazione di un libro di Wesley Mitchell con lo stesso titolo nel 1913 (capitolo Wesley Mitchell: Il ciclo, un fenomeno simmetrico ), in Gran Bretagna si parla regolarmente di `trade cycle' a partire dall'inizio degli anni venti, in seguito alla pubblicazione di un libricino con quel titolo da parte di Lavington (1922) ; in Francia, Italia e Germania il termine `crisi' si riscontra ancora frequentemente negli anni trenta. Ma concettualmente il ciclo ha sostituito la crisi nelle teorie di quasi tutti gli economisti già prima della prima guerra mondiale, per diventare uno dei principali temi di discussione tra economisti negli anni venti e trenta.

Questo cambiamento di prospettiva non è stato semplice né privo di conseguenze, e prima di procedere oltre è bene soffermarsi su entrambi questi aspetti.

14.1. Il riconoscimento del ciclo

Un punto di vista privilegiato per comprendere la lotta di evasione dal sistema concettuale precedente è quello degli stessi autori che, per primi, hanno focalizzato sui cicli anziché sulle crisi. Il loro problema non era solo quello di far accettare dai propri contemporanei un nuovo approccio teorico; in via preliminare, essi dovevano far riconoscere l'esistenza di un nuovo fenomeno, con proprie caratteristiche che lo differenziasse dalle crisi come si (ri-)conoscevano in precedenza. La transizione è stata graduale: in un primo tempo alle crisi sono state attribuite nuove caratteristiche, in particolare il ricorrere con una certa frequenza e regolarità. In seguito si sono sottolineate delle similitudini non solo tra le crisi, ma anche tra i momenti che le precedono e le seguono. Ciò ha portato a individuare delle fasi, che si susseguono con un ordine e modalità ben precise (vedi capitolo Il ricorrere delle crisi ).

A questi aspetti sono associati, in modo quasi naturale, nuove questioni teoriche. Innanzitutto il ricorrere delle crisi porta a chiedersi se esista una eventuale connessione tra questi eventi e una loro causa comune, e a spostare l'attenzione dalla singola crisi ad un fenomeno più vasto che comprende una successione di crisi. In secondo luogo, il riconoscimento di fasi specifiche suggerisce che ciascuna di esse sia legata a quella seguente da un nesso di causa ed effetto. Parallelamente, nasce il problema di come interpretare le irregolarità che caratterizzano il ricorrere delle crisi: fintanto che le crisi erano viste come eventi unici, ciascuno dotato della propria causa scatenante, questa questione non si poneva. Essa sorge quando l'accento si sposta sul ricorrere approssimativamente uniforme del fenomeno: in tal caso, quelle che in precedenza erano viste come cause uniche della crisi diventano le ragioni della specificità di ogni crisi rispetto alle altre, del suo presentarsi in ritardo o in anticipo rispetto al periodo `medio', dell'essere più o meno ampia.

Nei primi scritti sui cicli risulta evidente la preoccupazione di convincere i propri colleghi economisti tanto dell'esistenza di un ciclo (esistenza che taluni negavano 2 ) che della necessità di impiegare un nuovo tipo di approccio. La strategia retorica impiegata dai nostri autori consisteva nel presentare il fenomeno del ciclo con l'aiuto di dati statistici che mostrassero il ritorno periodico delle crisi, nel sottolineare la maggior generalità della (propria) teoria dei cicli rispetto alle molteplici spiegazioni delle crisi, e nel reinterpretare il ruolo delle cause specifiche.

Juglar, ad esempio, oltre a presentare centinaia di pagine di statistiche sui vari aspetti delle crisi, osservava come la causa delle crisi fosse via via attribuita ad un evento specifico:

Tutti, pur riconoscendo che le crisi commerciali non sono un fatto nuovo ma il risultato di cambiamenti profondi nel movimento del credito e nelle funzioni produttive della società, troppo immersi nell'epoca in cui scrivevano, hanno cercato di spiegare l'origine e la natura di queste crisi con riferimento a cause generali ma a circostanze speciali e particolari. 3 In ogni epoca si è preso l'evento principale del momento come causa di ogni male. A volte si trattava di una perturbazione interna o estera; altre si è trovato comodo accusare l'imperfetto operato delle banche di circolazione e in particolare i limiti artificiali che esse impongono alle loro operazioni facendole dipendere dagli incassi in moneta metallica! 4

A queste considerazioni Juglar aggiunge poi una reinterpretazione del ruolo delle perturbazioni:

Si cerca sempre di trovare una causa speciale a ciascuna crisi. Per la crisi del 1825, delle folli speculazioni commerciali; per quella del 1847, un cattivo raccolto; per quella del 1864, una grande importazione di cotone da pagare in contanti. Ma queste forme, potendo variare all'infinito, non rientrano nel quadro delle crisi commerciali; sono degli eventi casuali che possono disturbare qualcuno dei meccanismi sociali, senza arrestare il movimento generale del commercio e degli affari come invece si osserva nelle crisi commerciali. [...] L'eplosione delle crisi non dipende da circostanze fortuite; non ci sarà esplosione se tutto non sarà predisposto per l'esplosione e se la mina non è stata caricata. 5

Lo scoppio delle crisi dipende dunque dal cumularsi delle tensioni che, nella fase precedente, preparano l'esplosione, anche se la detonazione è causata da eventi accidentali la cui funesta influenza non si può certo negare ma che sarebbero impotenti se tutto non fosse "già predisposto affinché la minima scossa sospenda il meccanismo degli scambi" e scatenare la crisi. 6

John Mills è ancora più preciso di Juglar nella sua perorazione dei cicli e nella critica all'approccio in termini di crisi. 7 Il suo articolo "On credit cycles and the origin of commercial panics", pubblicato nel 1868, è tra i primi lavori inglesi a portare il termine `ciclo' nel titolo e a discutere delle crisi nella prospettiva di un fenomeno che si ripete con regolarità. Mills ne è consapevole, e inizia proprio differenziandosi dagli approcci precedenti che si incentravano invece sulle crisi specifiche: "Questi scritti hanno questo in comune: trattano unicamente delle cause immediate, o interpretano gli antecedenti come cause. Ogni crisi appare dunque come il risultato delle sue proprie circostanze fortuite, --solitamente qualche evento alla superficie della storia commerciale." 8 Mills si chiede invece se dalle caratteristiche delle crisi non si possano trarre sufficienti elementi per una generalizzazione che permetta di porre questi eventi in relazione gli uni con gli altri. Si tratta dunque di trovare le caratteristiche "comuni all'intera serie" delle crisi, che costituiscono "fatti di un nuovo tipo, che impongono di cercare le cause ad un livello più profondo" così che "il tema delle fluttuazioni commerciali acquisisca una nuova dignità se le sue radici sono rinvenute ben al di sotto del livello dei dettagli fisici". 9 Il primo e più importante di questi fatti consiste nella periodicità delle crisi, che si ripresentano con frequenza approssimativamente decennale. La regolarità con cui le crisi si ripresentano esclude che si possa trattare di una coincidenza fortuita, e invalida le teorie che non ne tengono conto: "Non vi è campo di indagine scientifica nel quale non si riderebbe dell'idea che una serie così distinta e prolungata possa avvenire per caso". 10

Su questa base, Mills capovolge esplicitamente l'interpretazione delle crisi come eventi abnormi, per porre il ciclo come stato normale dell'attività economica, e corrispondentemente rovescia anche l'interpretazione degli eventi straordinari che in precedenza erano evocati come spiegazione delle singole crisi mentre ora servono a spiegare le deviazioni dal ciclo caratteristico. 11

Come molti suoi contemporanei Mills vede la causa delle crisi nell'operare del sistema creditizio. Vi sono tuttavia due importanti differenze rispetto alle precedenti teorie delle crisi: l'idea che il credito si sviluppi per fasi concatenate tra loro, e l'interpretazione di questo fenomeno in termini di fluttuazioni nelle aspettative degli operatori. Quest'ultimo aspetto è stato discusso nel paragrafo I cicli all'epoca di Jevons ; quanto alla periodizzazione, Mills distingue tre fasi del "ciclo normale del credito" che portano da una crisi alla successiva:

1. Il periodo post-panico, caratterizzato da una pletora di capitale di riserva e dall'assenza di speculazione.

2. Il periodo centrale, o Ripresa, caratterizzato da una crescita del commercio, una speculazione moderata, e un salutare andamento del credito.

3. Il periodo speculativo, in cui vi è inflazione del credito, un alto livello dei prezzi, investimenti improduttivi, e eccessivi impegni. Periodo che porta alla crisi e al termine del ciclo.

Parallelamente a ciascuno di questi stadi sembra esserci un cambiamento nell'umore degli operatori; questi cambiamenti sono i medesimi in ogni decennio, e si susseguono nel medesimo ordine relativo. 12

Jevons è ancora più aggressivo di Mills nei confronti delle interpretazioni che privilegiavano il momento della crisi. Uno dei suoi contributi sul ciclo si apre ridicolizzando

la moltitudine di spiegazioni offerte dai commentatori economici riguardo alle cause dello stato degli affari. Concorrenza estera, alcolismo, sovraproduzione, sindacalismo, guerra, pace, mancanza d'oro o sovrabbondanza d'argento, Lord Beaconsfield, Sir Stafford Northcote e le loro spese stravaganti, la politica del governo, i banchieri di Glasgow, Edison e la luce elettrica, sono alcuni dei felici e coerenti suggerimenti avanzati in continuazione per spiegare il presente disastroso collasso dell'industria e del credito. 13

Lo scopo di questa osservazione non è solo quello di screditare gli avversari, ma soprattutto di sollevare un'obiezione metodologica alla ricerca di cause specifiche delle crisi. Se è vero che spesso una depressione "sembra dovuta a eventi eccezionali e accidentali, come guerre, grandi fallimenti commerciali, panici senza fondamento, e così via", 14 il principio meccanico secondo cui un effetto periodico deve a sua volta avere una causa periodica impedisce che questi eventi possano essere considerati le vere cause delle crisi: "fintanto che le cause sono così numerose e non collegate le une alle altre, non si ha una spiegazione della rimarchevole regolarità e periodicità che sembra caratterizzare questi eventi". 15 Anche Jevons rovescia l'interpretazione di questi eventi eccezionali, che da cause delle crisi sono retrocessi a spiegazioni delle irregolarità nel periodo: quando il commercio è disturbato da guerre, dazi o altro, "non deve meravigliare che il decorso regolare delle variazioni decennali sia in qualche misura turbato." 16


1. I dettagliati appunti di uno studente del corso sono descritti e commentati in Samuels 1972 .

2. Vedi nota Miller 1927, p. 187 (i capitoli 16 e 17 di questo volume, sulle teorie delle cause di cicli e crisi e sulle proposteper mitigarne gli effetti riprendono Miller 1924). al capitolo Il ricorrere delle crisi .

3. Più precisamente, "Pour beaucoup d'économistes, tous les troubles de la circulation fiduciaire et les crises en particulier tiennent à la réglementation, au privilège, au monopole; d'après eux l'unique remède à tous ces maux se trouverait dans la liberté" ( Juglar 1889 , p. 180). E ancora: "En dehors des causes générales, on a accusé des accidents spéciaux, particuliers à certain peuples et à certain années. Ainsi, les disettes, les emprunts, les traités de commerce, les modifications apportés à la législation douanière, les débouchés fermés au commerce, par suite de blocus ou de guerre" (ibid., p. 43).

4. Juglar 1889 , pp. vi-vii; diagnosi analoghe si trovano a pp. xvii, 29, 43, e 198.

5. Juglar 1891 , seconda ed. p. 646.

6. Juglar 1889 , p. 197.

7. Una breve descrizione della teoria del ciclo di Mills si trova nella sezione I cicli all'epoca di Jevons .

8. Mills 1868 , p. 11.

9. Ibid., pp. 13-15.

10. Ibid., pp. 13-14.

11. Ibid., p. 22.

12. Ibid., p. 29.

13. Jevons 1878b , in 1884, p. 221.

14. Jevons [1875] , in 1884, p. 203.

15. Jevons 1878b , in 1884, p. 222. Vedi anche Jevons 1878a ,in 1884, p. 206: "No accidental cause, however, is sufficient to explain so widespread and recurrent a state of trade."

16. Jevons 1878a , in 1884, p. 208..


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